Questo è il sito cristallizzato a come era il 26 Giugno 2006, giorno in cui la riforma fu bocciata dal popolo Italiano.
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un NO al referendum e si torna praticamente a zero

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Un "no" al referendum del 25 prossimo e si torna praticamente a zero: ventiquattro anni di riforme frustrate, sempre lo stesso obiettivo: esecutivo, bicameralismo e decentramento: nel frattempo l’India e la Cina sono cambiate! Riporto da un giornale che è molto poco condivisibile in certe scelte (tra l’altro è stato tra quelli che hanno fatto fallire il referendum). Tutto quello che è passato è stata una limitatissima riformata del centrosinistra che ha semplicemente complicato le cose. La riforma della macchina statale si arrestò coi decreti che alla fine degli anni ’70 attuarono la regionalizzazione delle cave e miniere e del controllo sugli enti locali. Arrivavano con vent’anni di ritardo perché chi ha il potere nazionale è sempre anti decentramento!

Ci sono volute sette legislature, tre commissioni bicamerali e quasi ventiquattro anni d’inerzia (il fascismo è durato meno) per comprendere perché l’Italia si avvia a votare un referendum sulle proprie istituzioni con la stessa determinazione esibita da chi stia decidendo se attraversare o meno un fiume ghiacciato. Come se la Costituzione del 1948 fosse non il prodotto d’una storia circoscritta, ma un sacello inespugnabile. […] Quanto alla devolution, nel marzo del 2001, sgoccioli di legislatura, il governo Amato ha aperto il primo varco nel titolo V della Costituzione e lo ha fatto in modo unilaterale e sbilenco. Con lo stesso criterio, nella passata legislatura, la Cdl ha rimescolato un materiale informe, ne ha estratto un premierato contenuto e una devolution non impeccabile che, se pure valicassero la barriera referendaria del 25 giugno, entrerebbero in vigore nel 2011 dopo un congruo periodo di cesellatura parlamentare. Regnante Prodi.

Una bocciatura di questa riforma sanzionerebbe invece la circolarità di un fallimento più che ventennale. In tutto questo (adesso considera la mia persona) il fallimento maggiore fu quello di Mariotto Segni e del maggioritario. Primo responsabile lo stesso Segni, che rifiutò di diventare il capo del governo.

Il secondo (e maggiormente colpevole perché presidente del consiglio lo fu) è stato Silvio Berlusconi. Il suo atteggiamento ha impedito in primo luogo il passaggio dell’abolizione delle quote proporzionali e poi ha fatto ritornare questo sistema da palude con cui è stato eletto il presente parlamento (leggi il cedere a Follini). Che il maggioritario semplice non rispetti il principio di fare contare ogni voto è verissimo, e una qualche correzione è necessaria. Ma il fatto è che in 60 anni ci sono state riscritture di parecchie costituzioni, in Belgio, Regno Unito e Spagna (postfranchista intendo), per restare vicini a noi e a paesi simili e a cambiamenti pacifici.

Ma in Italia le cose debbono essere - al contrario tenute ferme. Parecchi anni or sono ero nell’agonizzante Unione Sovietica. Un amico irlandese (di cui avevo ed ho una grande invidia perché era davvero un bellissimo uomo - mentr’io sono un po’ brutto) mi faceva notare come era una facciata vuota quella della potenza dell’URSS ed era un po’ arrabbiato del fatto che gli avessero sempre mostrato quel paese come una minaccia. A me la cosa ch’egli sosteneva non pareva molto lineare. Ma mi è tornata in mente oggi che con l’individuazione del fattore M al posto del fattore K, nella storia d’Italia mi viene da chiedermi se i fondo il fattore K non fosse una maschera della paura del moderno nell’Europa dopo la Belle Epoque.

Cosa sia essere moderni è un bel casino da definire. Finkielkraut ha scritto una interessante critica del concetto e dell’abuso dell’uso del termine. In questo contesto io uso una definizione che si ispira a quella di Melograni come apertura verso l’innovazione e all’interdipendenza delle varie organizzazioni statali o in vario modo politiche.

In questo clima il referendum costituzionale, come quello del 2001, complice il disinteresse, la difficoltà del quesito, la malainformazione e la data sarà roba per pochi intimi. Soprattutto grazie alla parte politica che oggi è al governo non mi attendo che si possa riformare anche la prima parte della Costituzione, satura di anacronismi ideologici del secolo scorso. Infatti da una parte mancano completamente riferimenti ai principi della concorrenza e del libero mercato, dall'altra nell'articolo 42 (ad esempio) si parla di proprietà in primis pubblica e (solo in battuta successiva) privata (con funzione sociale, ça va sans dire) e nell'articolo 43 addirittura della possibilità di statalizzare o collettivizzare imprese d'interesse pubblico (come la Rai, tanto per citare un caso sempre d'attualità).

Alberto
19 Giugno 2006



 



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